Ludovica Narciso: «e adesso impariamo ad amarci, a partire dall’acne»

Ho una predilezione per i giovani d’oggi. Sono tosti, incredibilmente concreti e capaci. Molti hanno le idee chiare. E quesi sempre sono idee rivoluzionarie. Ludovica Narciso, per esempio, ha pensato fosse necessario istituire un punto d’incontro virtuale per dare voce a una nuova generazione di donne. E, nel 2017, ha creato la piattaforma Kube. 

Per prima cosa, Ludovica, parlaci di te e di come sei arrivata a creare Kube.
Ho 25 anni e mi sto laureando in comunicazione. Ho sempre lottato per difendere i miei diritti e i miei ideali.  Sono il tipo di persona che non sta a guardare, ma si impegna concretamente per migliorare la società in cui vive. Kube è l’espressione di quello che mi piace e per cui lotto quotidianamente. Nasce dall’idea di dar vita a un non-luogo creativo, dinamico, in cui dare spazio alle ragazze digitali di oggi e di domani. A oggi siamo in 25, tutte donne, sparse per il mondo tra Italia ed Europa. Lavoriamo da remoto fin dalla nascita, quindi da due anni: lo smart working rende tutto più semplice; in più ci consente di aggiungere contenuti freschi da città diverse e tutte molto interessanti. 

Da dove nasce il nome Kube?
Mi ha ispirato il cubo di Rubik: anche Kube ha tante facce diverse. I mille volti di noi donne, particolari e uniche a nostro modo.

Qual è il vostro obiettivo?
Il nostro scopo è cambiare il modo in cui i media raccontano, rappresentano e dipingono le donne. Vogliamo che Kube diventi “il” luogo dove trovare ispirazione, dove raccontare le proprie esperienze, dove informarsi e dove ridere quando se ne ha bisogno. Un posto intimo, personalizzato, fatto apposta per ogni donna. Che ispiri ognuna a credere in se stessa, che dia la possibilità ai millenials di battersi per trovare il lavoro dei propri sogni.

Quando penso a Kube, lo immagino come un megafono che amplifica ogni voce che compone l’Italia. Siamo la rivoluzione digitale che cambierà il Paese.

Un obiettivo ambizioso, complimenti! Hai un modello femminile di riferimento?
Cito l’attrice statunitense Kristen Stewart: la seguo da più di 12 anni. Mi ispira per il suo carattere forte, il suo modo di essere costantemente se stessa e diversa, senza curarsi del giudizio altrui. È una cosa in cui credo fortemente anche io e che spesso dimentichiamo di fare. Tendiamo a omologarci perché il fatto di essere diversi ci spaventa, ma apprezzare la nostra unicità è una lezione che dovremmo imparare. La Stewart è un po’ così: una figura femminile in cui mi rivedo. Nonostante metta tutta se stessa nel suo lavoro, sotto sotto non sopporta di essere sotto i riflettori. Un atteggiamento che tutto sommato descrive anche me: se mi sono mostrata è perché credo sia fondamentale associare il mio volto a Kube, per far capire che sono una persona qualsiasi, una ragazza che studia, lavora e allo stesso tempo cerca finanziatori per il proprio progetto. Perché di base è questo he faccio: porto avanti un progetto, un’idea. Vorrei che le persone capissero che Kube non nasce per fare soldi: non ho alle spalle grandi aziende; ci sono solo io, una giovane sognatrice che spera di riuscire a farcela restando nel suo Paese natale.

Sul vostro sito e sul profilo Instagram di Kube si accenna, tra le altre cose, all’aspetto fisico delle donne. E si incoraggiano le lettrici a essere fiere del proprio corpo anche se imperfetto. Come rispondono le vostre followers?
Apprezzano sempre di più i nostri post. Una cosa su cui ultimamente ci stiamo soffermando è l’acne: vogliamo far capire che è normale averla, che si può combattere e che anche se restando cicatrici sul volto è comunque possibile amare il proprio viso e valorizzarlo. Un messaggio che comincia a essere diffuso anche da tanti marchi di make up: finalmente le ultime campagna pubblicitarie mostrano donne al naturale, reale, senza filtri e senza trucco-camouflage. A volte non ce ne accorgiamo, ma tutto ciò che i media tendono a nascondere, noi inconsciamente lo percepiamo come difetto. E vorremmo somigliare ai modelli che ci vengono mostrati in tv o sui social, anche se il più delle volte sono immagini ritoccate, assolutamente irrealistiche. L’idea è iniziare a far capire alle persone che siamo umani e imperfetti, che è proprio questo a renderci unici.

I vostri post ricevono anche feedback maschili?
Sono molto felice di affermare che tutti gli uomini che ci seguono condividono appieno i nostri valori e recepiscono i messaggi che divulghiamo. Credo che al giorno d’oggi sia fondamentale poter contare sul supporto degli altri: imparare a non giudicarle in base all’aspetto, lasciare le persone libere di essere loro stesse anziché criticarle perché non rispecchiano uno stupido standard imposto dalla società.

Cellulite, sovrappeso, smagliature: accettarle non è facile, anche per la donna più forte e realizzata. Quali argomenti useresti se dovessi rivolgerti a una donna in difficoltà con il proprio corpo?
È normale non accettare il proprio corpo, è normale non piacersi la maggior parte delle volte. Ma dobbiamo arrivare a capire perché proviamo queste sensazioni. I media tendono a mostrare sempre lo stesso tipo di donna e questo contribuisce a farci sentire inadatte quando, per esempio, infiliamo il costume da bagno per andare in spiaggia. Sono sicura che, se non fosse per cinema, magazine e TV, non avremmo tutte queste insicurezza in merito al nostro corpo o ne avremmo molte meno. Comunque sono fiduciosa: mi incoraggia la nascita del movimento di body positivism e l’aiuto che danno personalità come Laura Brioschi (blogger e portabandiera del “movimento” Body Positive, n.d.r.), che ho avuto l’onore di poter intervistare. Stiamo andando incontro a una fase bellissima e già adesso le donne cominciano a capire che il loro corpo non è imperfetto, ma diverso e per questo unico.

Ti è mai successo di essere presa in giro o sentirti inadatta per un difetto fisico?
Mi è capitato molto spesso, soprattuto quando ero molto piccola, il periodo delle scuole elementari e delle medie è stato una fase terribile della mia vita. Mi prendevano in giro perché ero reputata brutta o perché in quegli anni iniziai a indossare gli occhiali. Piangevo spesso e nessuno faceva niente. Quindi sì, mi sono spesso sentita in difetto, sia per come sono sia per il mio aspetto fisico. Da un po’ di anni a questa parte, però, ho imparato ad apprezzare me stessa. Ho faticato tanto anche perché raggiungere un livello “decente” di self-confidence non è facile, ma vivo ogni giorno come una battaglia che devo e voglio combattere prima di tutto per me stessa. 

L’obiettivo che ti poni per questo 2020.
Il più grande è riuscire a raggruppare il gruzzolo necessario a registrarci ufficialmente come media company attraverso il crowdfunding o trovando degli investitori interessati. Spero che questo 2020 sia un anno di cambiamento e che Kube possa offrire posti di lavoro ai giovani creativi di tutta Italia e in particolare al Sud, dove la comunicazione e la digitalizzazione sono purtroppo indietro rispetto al Nord.