Ludica, imperfetta, rassicurante: l'estetica dei cosmetici destinati alla generazione Z

18 Marzo 2021
Aziende In Evidenza

Normale è un concetto superato. La perfezione non è (più) di questo mondo.
Non cercate un nesso tra le due affermazioni. Limitatevi a prendere nota: che ci crediate o no, questi due concetti, all’apparenza estremamente semplici, riassumono i più rilevanti cambiamenti nell’ambito tutt’altro che circoscritto dell’industria cosmetica.

A ridefinire il concetto di normalità è niente meno che Unilever, società olandese-britannica titolare di 400 marchi tra i più diffusi nel campo dell’alimentazione, del beverage, dei prodotti per l’igiene e per la cura della persona (possiede, tra gli altri, i brand Dove, Atkinson e Sunsilk).

Ebbene, poche settimane fa Unilever ha annunciato di voler cancellare la parola “normale” dalla confezione dei prodotti che fanno capo alle Case di cui è proprietaria. «Il primo passo verso quella che abbiamo battezzato Positive Beauty», ha spiegato Sunny Jain, responsabile del segmento Beauty & Personal Care dell’importante azienda. «Le persone che ogni giorno utilizzano i nostri prodotti per l’igiene personale o la cura di sé sono milioni e sono altrettante quelle che, quotidianamente, si soffermano sulle immagini riportate nelle nostre pubblicità. Per questo abbiamo scelto di partire da lì per sconfiggere stereotipi dannosi e incoraggiare una definizione di bellezza più ampia. Certo, rimuovere il termine “normale” dai nostri imballaggi non risolverà il problema, ma ci sembra un importante passo avanti».

Nell’ottica di ridefinire i canoni della bellezza considerata tradizionale, la società si è detta intenzionata a moltiplicare gli investimenti da destinare a campagne pubblicitarie che ritraggono persone di età, sesso, colore differente, ovviamente astendendosi da fotoritocchi e aggiustamenti all’insegna del politically correct.

Hanno imboccato la stessa direzione – quella che conduce a una bellezza tutt’altro che stereotipata – i brand che si rivolgono alla celebratissima Gen Z. Il termine include i nati tra la metà degli Anni ’90 fino al 2010. «Una generazione sfortunata», secondo la 25enne Lisa Guerrera, fondatrice del beauty brand Experiment, «nata e cresciuta a cavallo di eventi drammatici: prima l’attentato al World Trade Center, poi la pesante crisi economica, oggi la pandemia da Covid-19. Diciamolo: gli appartenenti alla generazione Z sono esausti». E (comprensibilmente) demoralizzati.

Una foto di Lisa Guerrera con indosso la maschera per il viso riutilizzabile firmata Experiment, il beauty brand da lei creato (Instagram)

Proprio perché destinati a invogliare una generazione affranta, i prodotti a loro riservati usano un linguaggio grafico e cromatico unico nel suo genere. «È chiassoso», riprende Guerrera in un’intervista al magazine The Glossy. «Osa colori vivaci in modo sovversivo, disordinato e informale».

Alla ricerca della perfezione suggerita da social quali Instagram, si è sostituita la caotica imperfezione incoraggiata da TikTok.

Il motivo è semplice: «tutto ciò che appare perfetto, stereotipato, utilitaristico e super tecnocratico viene percepito come freddo, distante, capace persino di mettere soggezione e allontanare», spiega Larry Milstein, 26 anni, co-founder dell’agenzia di marketing PRZM:

«Oggi si privilegiano packaging “umani”, che suggeriscono accettazione, comfort, persino nostalgia».

A questo ammiccano, per esempio, i caratteri tipografici e i disegni scelti per decorare i flaconi, così come le loro forme, dagli angoli smussati ed eccezionalmente accomodanti.